Competenze - Psicologapianosi

PSICOLOGA PIANOSIPSICOLOGA PIANOSI

PSICOLOGA PIANOSIPSICOLOGA PIANOSI

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AMBITI DI INTERVENTO
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Disturbi dell’alimentazione e della nutrizione
I DCA sono problematiche molto comuni, con un’incidenza maggiore tra le donne e, soprattutto, tra le adolescenti. Non bisogna dimenticare però che un’ampia fascia di uomini e ragazzi soffre di queste problematiche ed è ancora più difficile per loro chiedere aiuto perché per la società queste sono problematiche appartenenti prettamente al mondo femminile e ancora oggetto di tabù per quello maschile.
È oramai parte della cultura popolare parlare di anoressia, bulimia, alimentazione incontrollata, senza dimenticare chi è colpito da obesità, ma ancora poco riconosciuto è ciò che sta dietro, o per meglio dire sotto, queste problematiche. Spesso si parla di modelli culturali “sbagliati”, di un culto della bellezza e della perfezione che toccano estremi spesso irraggiungibili. Sicuramente queste tematiche sono presenti e influenzano soprattutto gli adolescenti che stanno affrontando un percorso di crescita, dove il corpo è il teatro principale di questi cambiamenti e spesso ne è anche il drammatico protagonista. Tuttavia è necessario focalizzare l’attenzione su tutto ciò che sta sotto il sintomo alimentare: al di là di un rapporto difficile con il cibo possono esserci problematiche relazionali più profonde, che hanno le radici in una lotta intestina tra modelli di sé diversi, altalenanti o anche ambivalenti, sentimenti e percezioni relative a sé e agli altri estreme e spesso in conflitto, richieste dall’esterno sentite come esagerate o pressanti. Tutto ciò si situa in un corpo che viene sentito anch’esso come un estraneo, nemico-amico, ma spesso attaccato e usato per non sentire il peso di questi conflitti interni.
Spesso l’isolamento e il silenzio sembrano essere l’unica soluzione e chi soffre di questo disturbo, proprio a causa di un progressivo isolamento, ha la sensazione che nessuno possa comprenderlo, che non sarà ascoltato e che nessuno sia in grado di aiutarlo.
Questi disturbi sono fonte di una profonda sofferenza, sia per chi ne è colpito, sia per i familiari, che spesso si sentono impotenti e possono reagire in modi anche estremi a queste situazioni.
È importante un intervento precoce e la strutturazione di un progetto terapeutico multidisciplinare, poiché il disturbo colpisce sia l’individuo sia il suo corpo e il sistema familiare ed è spesso necessario un intervento di sostegno e contenimento in tutti e tre gli ambiti.



Disabilità psicofisica

Con questo termine si intendono tutte quelle situazioni in cui una persona riporta delle alterazioni, a livello fisico e/o psichico, che possono portare a lievi, moderate o severe limitazioni a livello emotivo, cognitivo, relazionale e sociale. Le disabilità di vario tipo possono essere diagnosticate in età evolutiva o adulta, ed essere di origine endogena (ossia inscritta nel codice genetico) o traumatica (si pensi a tutte le situazioni problematiche durante il parto o a incidenti che riportano gravi conseguenze a livello corporeo).
Chi è portatore di una disabilità ha spesso un certo grado di consapevolezza delle proprie difficoltà, ma le vive con naturalezza e spontaneità, poiché quello è il suo mondo e il suo modo di vedere e vivere il mondo. Importantissimo è quindi non rompere questa visione delle cose.
Nella nostra società è ancora difficile una reale integrazione delle “diversità” di vario tipo, e spesso quindi lo sguardo su chi è “diverso” si associa a una focalizzazione sulle difficoltà e limitazioni rispetto ad uno standard o ad una norma che, effettivamente, è solamente di origine culturale. Se ci si sforza di entrare nella visione del mondo di una persona “diversa” ci si accorge facilmente che è il resto del mondo ad essere diverso.
È molto difficile, ad esempio, comprendere la prospettiva di un adulto affetto da autismo, o ancora entrare nella prospettiva di un bambino che da sempre non ha l’uso delle mani o delle gambe. Queste persone però riescono spesso a focalizzare l’attenzione su cose che noi non vedremmo nemmeno, sentire i suoni e percepire gli odori in maniera diversa, ma non per questo motivo la diversità deve essere considerata un “meno”.
Questo è secondo me il punto di forza di ogni percorso con una persona con una disabilità: chiedere il permesso per entrare nel suo mondo, cercare di comprenderlo e condividerlo al meglio, aiutarlo nel potenziamento delle sue risorse e agire nel contesto relazionale e sociale per fare in modo che questa diversità venga integrata e apprezzata.



Dipendenza
La dipendenza è un legame che viene intrecciato con un oggetto esterno, che può essere una sostanza, un gioco, un’esperienza, un hobby, un lavoro, una persona e moltissime altre cose. Caratteristica essenziale è l’impossibilità di fare a meno di quell’oggetto.
Le più conosciute forme di dipendenza sono quelle da sostanze psicoattive, da alcol o da cibo, ma, al di là della maggiore o minore nocività dell’oggetto d’uso, è importante sottolineare come alla persona dipendente venga tolto un pezzetto di autonomia e di libertà sempre crescente. Non si è più liberi di scegliere, non si è più liberi neanche di pensare o di esistere come esseri distinti dall’oggetto dal quale si è dipendenti. Spesso l’oggetto esterno diventa talmente invadente che sostituisce completamente il legame originario. Non vi è più possibilità di separarsi.
È una situazione dolorosa poiché spesso crea forti sentimenti di rabbia auto ed etero diretta, sia in chi la vive in prima persona, sia in chi gli sta vicino. Il “dipendente” viene spesso considerato una persona debole, priva di volontà, che preferisce scegliere la via più facile della deresponsabilizzazione e diventa quindi oggetto di forte critica sociale, fino a vera e propria esclusione sociale e discriminazione.
Non bisogna dimenticare che chi soffre di dipendenza affronta un amaro conflitto quotidiano contro sé stesso, ed è per questo fondamentale una presa in carico multidisciplinare pronta ad evitare l’esclusione e l’ulteriore radicamento del legame distruttivo all’interno della personalità.



Problematiche psichiatriche
Con problematiche di tipo psichiatrico si intendono tutti i disturbi diagnosticati all’interno dei sistemi di classificazione dei disturbi mentali attualmente esistenti, quali il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM 5-TR) e l’International Classification of Diseases (ICD-10). Questi elencati sono manuali internazionali di classificazione utili per una diagnosi aggiornata e condivisibile tra tutte le professioni sanitarie e non solo tra chi si occupa di salute mentale.
La diagnosi è spesso considerata il primo passo per una presa in carico del paziente, tuttavia sono convinta che questo sia un passo non sufficiente per una reale comprensione della persona. Fondamentale è, invece, la condivisione del suo mondo affettivo, cognitivo e relazionale.
La diagnosi non dovrebbe focalizzarsi soltanto sui sintomi, ma deve prendere in considerazione il funzionamento dell’intera personalità ed è quindi spesso un processo a lungo termine, in continua evoluzione, e non solo il primo step di una consultazione.
Certamente in alcuni casi è necessaria (soprattutto in ambito istituzionale), ma quando possibile è sempre meglio che sia condivisibile e comprensibile soprattutto per il paziente, che in questo modo si rende fautore e co costruttore di qualcosa che lo riguarda in prima persona. L’etichetta posta dall’esterno può generare passività, la diagnosi costruita insieme rende esplicito un problema che è spesso di lunga data; essa può diventare quindi un elemento di lavoro comune tra psicologo e paziente, rendendolo un partecipante attivo.

Parlare di problemi psichiatrici spesso spaventa, più semplice e intuitivo è parlare di situazioni di sofferenza che vanno ad influenzare ed, eventualmente, alterare gli equilibri di una persona; possiamo così parlare di disturbi dell’umore quando, ad esempio, una persona sente di aver perso la bussola interiore che ci fa sentire, quasi in egual misura, tutte le emozioni umane. Quando questa bussola non funziona più bene è possibile che sentiamo più spesso un’emozione e che le altre siano impossibili da vivere e percepire. L’umore è in questi casi costantemente flesso o elevato in maniera significativa, oppure si alterna repentinamente e senza un’apparente motivazione.
Lo stress e l’ansia possono far da padrone nella nostra mente e sono caratteristiche di tutte quelle situazioni in cui una persona può fare particolarmente fatica ad affrontare anche le più piccole attività della vita quotidiana. Tutto genera ansia, emerge una sensazione di agitazione generalizzata, a volte somatizzata, spesso soltanto al pensiero di uscire di casa o di avere degli impegni, e, in certi casi, questa può essere altamente invalidante.
Ci sono poi quelle situazioni di sofferenza conseguenti a eventi catastrofici (ad esempio un terremoto o un incidente) oppure a un lutto importante; sono situazioni che spesso generano sentimenti importanti di perdita e vissuti di mancanza di significato e futilità dell’esistenza.



Psicologia Clinica ed Oncologica
Il termine “malato oncologico” porta subito con sé molte paure, prima fra tutte quella della morte. Avere un tumore, o un familiare/conoscente colpito da un tumore, ci fa subito rabbrividire. Il tumore purtroppo fa ancora paura, in un modo che è spesso impossibile da descrivere.
Anche se le ricerche in questo ambito sono costantemente in progresso e la percentuale di guarigione continua a salire, le malattie oncologiche continuano a rappresentare una tra le principali cause di morte della popolazione.
Culturalmente la malattia oncologica viene automaticamente associata al dolore, al deperimento di un corpo sottoposto a cure pesanti, alla perdita di autonomia e alla perdita della vita.
Affrontare queste paure, o almeno imparare a gestirle, non è un percorso semplice. La malattia oncologica mina alla base la nostra sana sicurezza nella nostra illusoria immortalità. La mente non può concepire la morte, è il corpo che la vive.
Sostenere un malato oncologico e/o i suoi caregiver è fondamentale per fare in modo che il percorso di accettazione e adattamento alla malattia sia il meno doloroso e più sostenibile possibile.

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